lunedì 22 ottobre 2012

jo is in L.A.

jo c'è ma è los angeles.

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venerdì 5 ottobre 2012

london love (prima parte, come genere di ragazza)

mi sveglio stranamente riposato.
faccio persino fatica a pensare che sia domenica.
ho dormito sette ore piene. sette ore piene di sabato notte.
anto prepara il caffè e mentre mi chiama dal piano di sotto, la sua voce è attutita da kili di moquette grigia che rivestono la sua casa al centocinquantasei di oxley close.
un sole debole illumina bermondsey questa mattina.
sorrido a pensare di sentirmi fortunato per questo oggi, quando il sole caldo e pieno era routine a roma.
ho la mia tazzona di caffè in mano, la sigaretta nell'altra mentre i piedi nudi sbucano fuori dal plade che  ricopre le mie gambe.
sono seduto fuori, sul muretto davanti l'ingresso di casa.
ho la testa appoggiata sui mattoni a vista con lo sguardo al cielo.
quel sole leggerissimo sparisce di tanto in tanto, dietro dei nuvoloni che sembrano dar vita  alle forme più strane.
ne passa uno veloce che sembra una pecora in fuga dal gregge, intervallata poi da uno spazio azzurro, e poi ancora altri nuvoloni a formare delle lettere. mi diverto a creare delle parole.
mentre spengo la sigaretta avvicino i piedi a riscaldarsi tra di loro.
i vicini di casa separano i rifiuti nei contenitori per la raccolta differenziata.
frank, nella villetta di fronte, sistema la bicicletta. ha intenzione di pedalare fino a richmond oggi.
il caffè è ormai freddo quando indosso i calzettoni e le mie adidas che hanno combattuto nei peggiori club negli ultimi anni. le porto ancora , a dispetto di tutti quelli che mi hanno detto che sarebbe ora di buttarle.
indosso il giubbotto oversize di pelle nera, e le cuffie con l'ipod, e uno sciarpone lungo un kilometro. e non mi importa se ho ancora su i pantaloncini di seta viola con cui ho dormito.
vado da tesco. io adoro andare da tesco.
il supermercato la domenica mattina non è altro che la più variegata rappresentazione di etnie, di famiglie che fanno scorta di carta igienica in tre per due, e di giovani colorati con facce da after.
prendo due cornish pasties di carne, uno smoothie mango e mela e un cartone di succo d'arancia in offerta e un brick di latte made in scotland.
antonio mi invia un sms; vuole le girelle alla cannella, e mi intima di sbrigarmi; dobbiamo raggiungere  gli altri ad east london.
incontriamo sofie all'incrocio di bethnal green con shoreditch high street.
la vedo da lontano mentre si avvicina con la sua bicicletta nera, coi freni sui pedali, come quelle che si vedono in giro ad amsterdam.
le margherite che si intrecciano nel cestino della bici sono perfette con il suo look anni ottanta, con i suoi capelli platino spettinati e col suo sguardo per niente contento di chi ci aspetta da troppo.
io e sofie abbiamo aperto una boutique non lontana dalla brick lane gallery.
chiamarla boutique è riduttivo.
il nostro è uno spazio in cui capi d'abbigliamento vintage si mescolano a borsette chanel che nessuno credeva si potessero più trovare in giro. uno spazio in cui la camicia di seta stampata di versace che la gialla comprò nel novantadue, ora è indossata da un manichino da donna con una cinta in lurex che gli fa trattenere il respiro con degli stivaloni di pelle nera raggrinzita alla cercasi susan disperatamente.
uno spazio in cui il la sperimentazione musicale si unisce alla sperimentazione culinaria della bakery che ci sta accanto, mentre con un martini in mano hai la possibilità di avere un taglio di capelli anni ottanta anche tu.
io insisto per chiamare il nostro posto 'jeanne rancon', come il falso nome che la contessa du barry utilizzò quando a quindici anni arrivò a parigi per lavorare come grisette: commessa e puttana part time.
la verità è che dopo ogni giro di birre i nomi diventano tanti, e ne troviamo sempre di geniali.
così, a poche settimane dall'apertura, non abbiamo ancora nessuna insegna ad indicarci.
angelo è in ritardo.
ieri sera ha suonato all'egg.
il suo dj set è stato un successo.
ci fermiamo da pizza east.
lo aspettiamo qui.







mercoledì 3 ottobre 2012

smalltown boy




è la seconda notte che erica si è trasferita a casa mia. è la seconda notte che questa adesso è casa nostra.
abbiamo passato un pomeriggio demenziale tra scatoloni di libri, cartoni di pizza e birre moretti.
le nostre complesse personalità da ricerca psicoanalitica dell'università della columbia stanno adesso plasmando attraverso libri, viaggi e disordine l'appartamento in cui vivevo.
vado a prendere altre due birre alla pizzeria caselli, quando torno fammi trovare cinque dvd tra cui scegliere e ce lo guardiamo nel mio letto.
gus van sant dirige il premio oscar sean penn nel ruolo di harvey milk, l'attivista del movimento omosessuale degli anni settanta che si battè in difesa di una legge per i diritti dei gay di san francisco.
tra venti giorni circa partirò per la california e non sono ancora sicuro su quale sia il miglior percorso da seguire nelle dodici notti nella terra dei sogni.
mi addormento con le scene di un quartiere castro appena nato.
mi addormento con le immagini sapientemente dirette di quelli che furono i primi movimenti che hanno contribuito a farmi sentire oggi orgoglioso e senza paure.
non è stata sempre così la mia vita.
non è stata sempre libera e consapevole come oggi.
anzi consapevole lo è stata sempre.
sin da quando da ragazzino ascoltavo i commenti dei grandi; sin da quando da ragazzino mi sentivo stracciato in mille pezzi dai commenti dei compagni di scuola e dentro di me ripetevo che sarei diventato qualcun altro, che mi sarei evoluto in qualcosa di migliore di quello per cui ero deriso di nascosto.
sì ero perfettamente consapevole di tutto anche quando già maggiorenne di fronte alla molteplice scelta delle università che avrei intrapreso di lì a breve, mia sorella mi disse guardandomi negli occhi che sarei dovuto andare il più lontano possibile, così che la vergogna sarebbe stata più gestibile in caso.
quando non hai la possibilità di fortificarti con l'esperienza queste cose erano come lame che quotidianamente laceravano la tua carne.
andrò a milano.
farò economia.
tutti saranno felici, tanto sono abbastanza intelligente da rendere felice tutti meno che me.
effettivamente le mie predizioni da meno che adolescente si rivelarono veritiere.
perchè è vero che mi sono trasformato in qualcosa di migliore.
mi sono trasformato in me stesso.
in me stesso punto e basta.
e sono stato capace di educare io  la mia famiglia dopo essere stato educato.
nessuna presunzione di essere migliore di nessuno.
nessun vittimismo.
niente che mi faccia avere la consapevolezza di saperne in più di nessun altro.
eppure ancora la strada affinchè non si abbia più l'arroganza di sentirsi migliori degli altri è lunga.
forse è ancora più impervia e inaffrontabile tra le persone che credono di sentirsi aperte e moderne.
ma scusate ma chi vi ha chiesto di essere di larghe vedute?
che cosa significa essere di mentalità aperta quando avete già le vostre risposte?
devo essere una persona moderna per far sì che luca e marco, professionisti e maschi vedano la loro unione legalizzata, mentre un renato e alben della cage aux folles no?
"..i gay sono così, i gay enfatizzano troppo..i gay sempre  vittime, i gay , i gay...i gay"
oh ma quanta cazzo di esperienza c'avete?
ne avete talmente tanta da confondere la personalità con l'identità di genere?
l'identità di genere?
ahahahah
vorrei tanto sapere quanta identità c'è in quello che sembrate, in quello che mostrate, in quello che volete far credere di essere.

domenica pomeriggio eravamo in chill out a casa di terry.
abbiamo ballato sui divani, abbiamo giocato come adolescenti in casa mentre i genitori sono fuori.
abbiamo cantato sui video di ambra angiolini.
e abbiamo ascoltato musica.
cazzo che musica.
e poi ho messo su i bronski beat, il trio britannico synth pop degli anni ottanta.
metto una extendend version di quasi dieci minuti.
rimaniamo zitti.
leggiamo il testo bianco sullo schermo nero.
è un fottuto capolavoro, penso.
dopo averla ascoltata ho voglia di tornare  a casa.
cammino tra le strade di monteverede, mentre una fitta pioggia lava roma.
un pò mi commuovo.
 un pò rido.




Smalltown boy, 1984 - Bronski Beat - Album: the age of consent

But you never cried to them
Just to your soul
No you never cried to them
Just to your soul

Run away, turn away, run away, turn away, run away.
Run away, turn away, run away, turn away, run away.

Cry , boy, cry.